sabato 27 novembre 2004

Gli Incredibili. O forse no.

Film per la famiglia questo Gli incredibili di Walt Disney Pixar con la regia del brillante Brad Bird. La verve satirica del regista abituato a pepare gli episodi dei Simpson s’infrange contro i rocciosi diktat disneyani.
Ho visto il film oggi pomeriggio con mio nipote. Buon film ma non all’altezza di Nemo o L’era glaciale. Conferma le aspettative ma non apre alcuna via all’immaginazione. Numerose le citazioni e le esagerazioni di genere.
L’ironia sulla condizione del supereroe dotato di superpoteri mi ha fatto tornare alla mente un bellissimo film a cartoni di Bruno Bozzetto, anno 1968: Vip mio fratello superuomo. (Il superuomo di massa…) Nel quale il fratello sfigato di Supervip, Minivip, un tipo un po’ alla Woody Allen, salva l’umanità dal lavaggio del cervello a fini consumistici perpetrato dalla malvagissima Happy Betty. Procuratevi la cassetta o il dvd: è un film poco effettato e forse tecnicamente ingenuo (del resto siamo negli anni sessanta) ma, quanto a divertimento e a critica sociale (del consumismo e della pubblicità), è ben al di sopra de Gli Incredibili.

giovedì 25 novembre 2004

Camomilla alla Terra

Lieve scossa di terremoto. Mi sembra ondulatoria. Spero non abbia fatto danni grossi altrove. In questi momenti ci si domanda sempre dove sarà l'epicentro. Di sicuro quello della paura è in noi.

lunedì 22 novembre 2004

Domenica a piedi: il giorno dopo

Ieri il silenzio disegnava un'altra città.
Ne allargava l'orizzonte ma lo concentrava
dentro di me.

domenica 21 novembre 2004

Domenica a piedi: fa benissimo

Appena rientrato da una bella passeggiata. Il cielo azzurro di Lombardia, il sole che ti scalda, strade senza auto, persone che camminano e vanno in bici. Certo non risolverà il problema dell'inquinamento ma la domenica a piedi ci disconnette dalla velocità, seppure per breve tempo. A me non sembra poco.

ps?
Bucherei volentieri le gomme a quei quattro pirla che fanno i furbi e circolano circospetti in auto, sbattendosene del divieto.

sabato 20 novembre 2004

Oggi giornata dei diritti dei bambini


mf Posted by Hello

Non insegnate ai bambini
non insegnate la vostra morale
è così stanca e malata
potrebbe far male

Forse una grave imprudenza
è lasciarli in balia
di una falsa coscienza

Non elogiate il pensiero
che è sempre più raro
Non indicate per loro
una via conosciuta
Ma se proprio volete
Insegnate soltanto
la magia della vita

Giro girotondo cambia il mondo

Non insegnate ai bambini
non divulgate illusioni sociali
Non gli riempite il futuro
di vecchi ideali
L’unica cosa sicura è tenerli lontani
dalla nostra cultura

Non esaltate il talento
che è sempre più spento
Non li avviate al bel canto
al teatro alla danza
Ma se proprio volete raccontategli
il sogno di un antica speranza

Non insegnate ai bambini
ma coltivate voi stessi
il cuore e la mente

Stategli sempre vicini
Date fiducia all’amore
Il resto è niente

Giro girotondo cambia il mondo


Non insegnate ai bambini
Testo e musica di Giorgio Gaber e Sandro Luporini
Edizioni Warner Chappell Music Italiana SpA

Immaginatela cantata dalla bellissima voce di Alice,
da Viaggio in Italia.

giovedì 18 novembre 2004

Conti batte Simenon: quel tristesse!

Segno dei tempi: vincono sempre i raccomandati. Le inchieste del commissario Maigret interpretate da Sergio Castellitto sono state un flop televisivo. Nella serata di martedì la fiction diretta da Renato de Maria è stata superata negli ascolti dall’ horribile visu I raccomandati, condotto dall’abbronzatissimo anche e soprattutto fuori stagione Carlo Conti. Non voglio giudicare la qualità della fiction mediaset né confrontare il Maigret di Gino Cervi con il Maigret di Sergio Castellitto né addentrarmi nelle scelte editoriali dei network tv. La sostanza non sta qui. La sostanza è che il pubblico (televisivo) è ormai affetto dal virus del reality show e dei quiz a pacchi, cioè, in ultima analisi, dal virus dell’auto-protagonismo. Pian piano l’ homo televisivus diventa incapace di fare salti metaforici, di proiettarsi in mondi narrativi che non si fondino su riferimenti autoreferenziali. Mediaset (e non solo) raccoglie ciò che ha seminato.

Credo che il lettore e la lettura, invece, conservino questa straordinaria ricchezza. La possibilità infinita di immaginarsi e di narrarsi altrimenti. E stasera alla faccia dell’auditel, leggerò proprio un bel Simenon.

mercoledì 17 novembre 2004

Si vive così
con un’idea di eternità
messa lì
tra testa e piedi
intermittente
congelata
in un desiderio qualunque
il led rosso dello stand by.

Sarà
scarto scossa schianto
il tempo che passa
è già passato
e una domenica post meridiem
ti sospende in post mortem.

Il tempo che rimane
è la mano nella tasca
la briciola di pane
che senti
sotto il polpastrello.

martedì 16 novembre 2004

Dudreville al Serrone: straordinario

Bella mostra, questa dedicata a Leonardo Dudreville. Pittore che non conoscevo affatto ma che ho scoperto essere di cospicua consistenza estetica e di sopraffina abilità tecnica. Belli soprattutto i ritratti e alcuni paesaggi. Tra l’altro, Dudreville ha illustrato alcune opere di Jules Verne in modo davvero magistrale: peccato che la mostra ne offra solo un paio di esempi.

Una mostra (di pittura) è l’occasione per staccare gli occhi dal monitor e dall’immagine digitale. E’ la possibilità di lasciarsi attraversare da uno sguardo diverso: originale e non seriale, diretto e non mediato. Uno sguardo che coinvolge tutto il corpo e che disintossica.

La mostra Leonardo Dudreville. Dal divisionismo al Novecento è al Serrone della Villa Reale di Monza, fino al 19 dicembre. Per maggiori informazioni: Monzacity. E fatemi sapere se vi è piaciuto Dudreville.

sabato 13 novembre 2004

domenica 7 novembre 2004

sabato 6 novembre 2004

Omnibus degli omnibus

Una mattina, forse mille
Ore otto e cinquantanove.
Grigio asfissiante, asfalto piovuto.
Il lumacone arancione tossisce.
Siamo tutti in fila metropolitana:
un automa un’auto, un’auto un automa.
Rutto la colazione e guardo l’ora sul cruscotto.
Accelero senza convinzione.
In questa poesia non c’è verso
di felicità.




Specie di parole
Ci sono parole-merce. Come quelle della pubblicità: si sprecano, si buttano, si dissipano. Si disperdono come le disperde Fiorello parlando a tombini, lampioni, fontanelle. Le parole-merce si auto-annientano appena le pronunci o le scrivi. Sono parole-calamita, mezzi per attirare l’attenzione su un prodotto, un brand, un’ idea politica.

Ci sono parole-seme. Come quelle che San Francesco d’Assisi pronunciò davanti al lupo di Gubbio o agli uccelletti che non volevano volare. Le parole-seme germogliano e danno frutti nel tempo. Trasformano il mondo, le persone, le cose.

Ci sono parole-pane. Che puoi spezzare e condividere. Che fanno crescere la giustizia, la pace, il bene. Ci sono parole-ponte che uniscono. Ci sono parole-strada che ti portano lontano. Ci sono parole e parole. Per vivere meglio, forse dovremmo cominciare a domandarci: di che parole siamo fatti?





Colto in fallo
Una cena da amici di amici. A un certo punto, chiedo dov’è il bagno, e la padrona di casa, una graziosa bionda attillatissima trentacinquenne, mi indica il percorso (la casa è grande). Mentre sto infilando la porta del bagno, l’occhio mi cade nella stanza da letto. E’ un flash. Riconosco una forma familiare cilindrica verticale di colore rosso spento. La pipì può attendere, mi dico, la curiosità no. Mentre di là la conversazione è sciolta e briosa e fluidificata dal verdicchio di matelica, io entro nella camera, socchiudendo la porta dietro le spalle. Cazzo, avevo intravisto bene! Soltanto che ne avevo intravisto uno e neppure grosso. Disposta su due mensole bianche a lato del letto eccoti una fila di falli di diverse lunghezze, grossezze e inclinazioni. Mi avvicino, li tocco: sono di cera. Sulla punta al glande spunta lo stoppino. Li conto: sono 27. Ne prendo in mano uno bello grosso e dritto, saranno almeno 28-30 centimetri. Lo rigiro un po’ e penso a john holmes e a rocco siffredi. Mentre annuso le dita che profumano di agrumi, entra in camera la collezionista.
Balbetto qualcosa agitando il membro nell’aria. Lei sorride, notando il mio imbarazzo.
Per fare l’uomo di mondo e chiudere degnamente l’incidente, con non-chalance, appoggio il pene di cera sulla mensole e commento: “Originale la collezione…ma dove li hai comprati, cioè esiste un negozio che vende falli di cera?” Lei: “Ma va! Li ho fatti io, con le mie mani.” Io:”E come, dove li hai presi i membri: son tutti diversi.” Lei: “Sono gli uccelli dei miei uomini. Praticamente ho realizzato dei calchi in gesso e poi ci ho colato dentro la cera, semplice no?” Io:”Sicché i tuoi fidanzati si sono messi lì con…con… mentre tu gli spalmavi sopra il gesso…” Lei: “Sissì così…glielo facevo appoggiare al tavolo e poi tiravo con le mani il gesso…sai non è facile tenerlo duro per il tempo che serve…” Io: “Eh, posso immaginare…” Lei, con soddisfazione: “Però alla fine, con un po’ di pazienza, i risultati si vedono…no?” Io: “Effettivamente si vedono…e…li spolveri ogni giorno?” Lei: “No, non tutti i giorni…un paio di volte la settimana…e sto molto attenta, son così delicati…quei due lì per esempio- indicando due membri di un bel calibro – quelli di luca e di marco mi sono cascati un paio di volte…li ho rimessi assieme come ho potuto riscaldando la cera…ma se hai un occhio allenato le magagne le noti…” Io: “Beh, comunque il colpo d’occhio generale è notevole…davvero una splendida collezione…complimenti!” Lei: “Grazie…mi ci è voluto del tempo per metterla assieme…li considero i miei trofei…un po’ come i cacciatori che hanno le prede impagliate sulle pareti di casa…ognuna rappresenta un’avventura, una conquista, un episodio da ricordare…” Io francamente cominciavo a sentirmi un fagiano preso di mira. Così sorrisi all’aderentissima collezionista e decisi che era il momento di uscire. La vescica ormai premeva fortissima. Andai in bagno. Il pensiero degli uccelli di cera bloccò lo stimolo. La pipì non mi scappava più. Tornai in sala da pranzo e mi sedetti a tavola. Guardavo i maschi presenti e sorridevo immaginando quale sarebbe finito nella collezione.





Dove finisce la cultura
Mio cugino Corrado tiene Lo scambio simbolico e la morte di Baudrillard in bagno.
In effetti, gli dico, è una lettura che richiede un certo sforzo ma stimola.





Il padre verticale
Nella tribù australiana dei Kurnai viene praticata questa cerimonia di iniziazione.
Le madri si siedono una accanto all’altra con davanti i propri bambini. Gli uomini, muovendosi allineati, raggiungono frontalmente le donne e prendono i piccoli. Poi li alzano verso il cielo più e più volte. I bimbi (quasi istintivamente) slanciano le piccole braccia in alto. Simbolicamente gli iniziati vengono consacrati al Dio celeste.

Questo rito di iniziazione che ho ricavato dal bellissimo libro di Claudio Risé, Il padre l’assente inaccettabile, (Edizioni San Paolo, Milano, 2003) mi ha rivelato una dimensione del padre stra-ordinaria. Come scrive Risé: “togliere i nuovi individui dalla dimensione orizzontale, caratteristica della materia e della conservazione delle cose, e collocarli lungo l’asse verticale della ricerca di sé e dell’Altro, di ciò che è al di là e al di sopra delle cose di quaggiù.” Il gesto del padre che solleva il figlio verso il cielo e lo scioglie (definitivamente) dall’abbraccio materno: è un’immagine oltre che familiare anche forte. Il padre indica al figlio la via del cielo, la dimensione verticale dell’esistenza, la possibilità di un’esperienza che sta oltre i bisogni materiali esauditi dalla madre. Questa per il bambino è una ferita (il distacco dalla madre) ma anche una straordinaria possibilità: il dischiudersi di un mondo nuovo, più in alto.

Ecco: proviamo a immaginare nostro padre (ora, forse, vecchio e rompiballe) nell’atto di sollevarci da piccoli e puntarci verso il cielo. Questo gesto semplice e simbolico è trasmesso a noi, è dentro di noi. E se noi saremo fortunati, lo trasmetteremo (lo doneremo) ai nostri figli. Non dimentichiamocelo questo gesto del padre.
(Dedico questo post a quel padre palermitano ucciso a pugni da quattro uomini, davanti a moglie e figlia piccola. Per sbaglio aveva ammaccato l’auto di uno di loro.)





BerLosco Street
C’è una via che percorro ogni santo giorno per andare al lavoro. Ha un nome ufficiale questa via ma io l’ho rinominata BerLosco street. Perché sui muri invecchiati che costeggiano la strada compaiono scritte in dileggio di tale BerLosco (in un solo caso denominato Berluscone). Si tratta, credo, di un personaggio famoso. Un personaggio pubblico che occupa qualche carica istituzionale se non a livello nazionale certamente a livello locale. Io, purtroppo, seguo pochissimo la politica (macro e micro) e non so dare indicazioni precise sulla sua identità e sui suoi comportamenti. Dalle scritte, che riporto fedelmente e senza alcun intervento personale, emerge una leggera acrimònia nei suoi confronti: non so dire quanto motivata.

Dire male di BerLosco non è reato

BerLosco è tutto falso

Chi vota BerLosco lo prende in quel posto

BerLosco disgusta

Attenzione il Berluscone ti frega la pensione

Con BerLosco la legalità è un optional

Con BerLosco i disonesti sguazzano

Con Berlosco è venuto a galla il peggio della società

BerLosco la quintessenza della volgarità

BerLosco crea malessere

Illusi del BerLosco aprite gli occhi

BerLosco esci dal campo

Risolto il mistero della bandana: è stato circonciso

(Quest’ultima scritta non riporta il nome del dileggiato ma trovandosi nel medesimo contesto murale ho ritenuto dovesse riferirsi sempre al medesimo personaggio).





Al telefono
Brevemente ti interrogo
sulle giornate lontane
di Montevarchi.
Nel tempo che tarda la tua risposta
un’ ansia mai spenta mi brucia lo stomaco:
è altra vita che temo
non mia non tua
costruita in un vuoto d’abbracci
aperta al nuovo seme
d’amore.

Immagino i tuoi occhi scippati
dai cartoni animati,
ecco proprio ora
vorrei prenderti l’orecchio
staccartelo ma senza dolore
lievemente come petalo
tenerlo sempre con me
a portata di mano,
in tasca per esempio.

Quando voglio lo prendo
e ti dico quello che sento.
Solo cose che un padre dice
a un figlio
senza fare il prefisso.




Blog, Internet, l’Overdose e la Fuffa

E’ stato calcolato che nascono in media 15.000 weblogs al giorno: uno ogni 5,8 secondi (fonte: Technorati). Ma che ce ne facciamo di tutti questi milioni di blog? Come possiamo sopravvivere a questa crescita esponenziale? Con le pagine web la situazione non cambia. In un’intervista pubblicata su La Stampa di sabato 13.9.2004, Umberto Eco parlando di internet dice: “Si trova tutto quello che ci hanno messo dentro. Ho fatto una ricerca sul Graal: su una settantina di siti, 68 sono fuffa, uno sembra l’enciclopedia, un altro è davvero interessante. Ma io conosco la materia e scelgo. Chi sta cominciando ad appassionarsi distingue?”

Il giovane ricercatore Giuliano da Empoli nel bel libro Overdose La società dell’informazione eccessiva (Marsilio Editori,2002) mette in guardia dalle conseguenze nefaste dell’overdose cognitiva. I bambini sono i più esposti e sono colpiti dall’ Attention Deficit Disorder: la sindrome che provoca una forte diminuzione della capacità di concentrarsi (non solo a scuola). Ma anche gli adulti sono investiti dall’overdose informativa con forme più o meno gravi di dipendenza dai diversi media utilizzati: tv, internet, telefonia mobile, cinema, ecc. Che bisogno abbiamo di essere connessi 24 ore su 24, 7 giorni su 7? Che bisogno abbiamo di essere aggiornati continuamente? Tutti cercano la nostra attenzione e s’inventano ogni giorno nuovi sistemi per catturarla. E il nostro tempo/spazio, quello della nostra vita al di fuori dell’acquario dei media, si restringe sempre più.

Bisogna imparare a scegliere, a distinguere il fondamentale dalla fuffa, come dice Eco. Perché solo l’informazione utile e di valore può trasformarsi in conoscenza. Giuliano da Empoli suggerisce di ridurre gli imput e di recuperare la dimensione lineare (leggere un libro stampato su carta, per esempio). I più fortunati, quindi, non sono più coloro che accedono a maggiori quantità di informazioni (difficili da gestire) ma, al contrario, tutti coloro che hanno/avranno tempo, attenzione e tranquillità per selezionare senza essere sopraffatti. Un lusso per pochi? Se ci diamo da fare, no. Per vivere meglio, dobbiamo ricordarci di essere non troppo contemporanei. (Dobbiamo bloggare di meno?)