sabato 6 novembre 2004

Omnibus degli omnibus

Una mattina, forse mille
Ore otto e cinquantanove.
Grigio asfissiante, asfalto piovuto.
Il lumacone arancione tossisce.
Siamo tutti in fila metropolitana:
un automa un’auto, un’auto un automa.
Rutto la colazione e guardo l’ora sul cruscotto.
Accelero senza convinzione.
In questa poesia non c’è verso
di felicità.




Specie di parole
Ci sono parole-merce. Come quelle della pubblicità: si sprecano, si buttano, si dissipano. Si disperdono come le disperde Fiorello parlando a tombini, lampioni, fontanelle. Le parole-merce si auto-annientano appena le pronunci o le scrivi. Sono parole-calamita, mezzi per attirare l’attenzione su un prodotto, un brand, un’ idea politica.

Ci sono parole-seme. Come quelle che San Francesco d’Assisi pronunciò davanti al lupo di Gubbio o agli uccelletti che non volevano volare. Le parole-seme germogliano e danno frutti nel tempo. Trasformano il mondo, le persone, le cose.

Ci sono parole-pane. Che puoi spezzare e condividere. Che fanno crescere la giustizia, la pace, il bene. Ci sono parole-ponte che uniscono. Ci sono parole-strada che ti portano lontano. Ci sono parole e parole. Per vivere meglio, forse dovremmo cominciare a domandarci: di che parole siamo fatti?





Colto in fallo
Una cena da amici di amici. A un certo punto, chiedo dov’è il bagno, e la padrona di casa, una graziosa bionda attillatissima trentacinquenne, mi indica il percorso (la casa è grande). Mentre sto infilando la porta del bagno, l’occhio mi cade nella stanza da letto. E’ un flash. Riconosco una forma familiare cilindrica verticale di colore rosso spento. La pipì può attendere, mi dico, la curiosità no. Mentre di là la conversazione è sciolta e briosa e fluidificata dal verdicchio di matelica, io entro nella camera, socchiudendo la porta dietro le spalle. Cazzo, avevo intravisto bene! Soltanto che ne avevo intravisto uno e neppure grosso. Disposta su due mensole bianche a lato del letto eccoti una fila di falli di diverse lunghezze, grossezze e inclinazioni. Mi avvicino, li tocco: sono di cera. Sulla punta al glande spunta lo stoppino. Li conto: sono 27. Ne prendo in mano uno bello grosso e dritto, saranno almeno 28-30 centimetri. Lo rigiro un po’ e penso a john holmes e a rocco siffredi. Mentre annuso le dita che profumano di agrumi, entra in camera la collezionista.
Balbetto qualcosa agitando il membro nell’aria. Lei sorride, notando il mio imbarazzo.
Per fare l’uomo di mondo e chiudere degnamente l’incidente, con non-chalance, appoggio il pene di cera sulla mensole e commento: “Originale la collezione…ma dove li hai comprati, cioè esiste un negozio che vende falli di cera?” Lei: “Ma va! Li ho fatti io, con le mie mani.” Io:”E come, dove li hai presi i membri: son tutti diversi.” Lei: “Sono gli uccelli dei miei uomini. Praticamente ho realizzato dei calchi in gesso e poi ci ho colato dentro la cera, semplice no?” Io:”Sicché i tuoi fidanzati si sono messi lì con…con… mentre tu gli spalmavi sopra il gesso…” Lei: “Sissì così…glielo facevo appoggiare al tavolo e poi tiravo con le mani il gesso…sai non è facile tenerlo duro per il tempo che serve…” Io: “Eh, posso immaginare…” Lei, con soddisfazione: “Però alla fine, con un po’ di pazienza, i risultati si vedono…no?” Io: “Effettivamente si vedono…e…li spolveri ogni giorno?” Lei: “No, non tutti i giorni…un paio di volte la settimana…e sto molto attenta, son così delicati…quei due lì per esempio- indicando due membri di un bel calibro – quelli di luca e di marco mi sono cascati un paio di volte…li ho rimessi assieme come ho potuto riscaldando la cera…ma se hai un occhio allenato le magagne le noti…” Io: “Beh, comunque il colpo d’occhio generale è notevole…davvero una splendida collezione…complimenti!” Lei: “Grazie…mi ci è voluto del tempo per metterla assieme…li considero i miei trofei…un po’ come i cacciatori che hanno le prede impagliate sulle pareti di casa…ognuna rappresenta un’avventura, una conquista, un episodio da ricordare…” Io francamente cominciavo a sentirmi un fagiano preso di mira. Così sorrisi all’aderentissima collezionista e decisi che era il momento di uscire. La vescica ormai premeva fortissima. Andai in bagno. Il pensiero degli uccelli di cera bloccò lo stimolo. La pipì non mi scappava più. Tornai in sala da pranzo e mi sedetti a tavola. Guardavo i maschi presenti e sorridevo immaginando quale sarebbe finito nella collezione.





Dove finisce la cultura
Mio cugino Corrado tiene Lo scambio simbolico e la morte di Baudrillard in bagno.
In effetti, gli dico, è una lettura che richiede un certo sforzo ma stimola.





Il padre verticale
Nella tribù australiana dei Kurnai viene praticata questa cerimonia di iniziazione.
Le madri si siedono una accanto all’altra con davanti i propri bambini. Gli uomini, muovendosi allineati, raggiungono frontalmente le donne e prendono i piccoli. Poi li alzano verso il cielo più e più volte. I bimbi (quasi istintivamente) slanciano le piccole braccia in alto. Simbolicamente gli iniziati vengono consacrati al Dio celeste.

Questo rito di iniziazione che ho ricavato dal bellissimo libro di Claudio Risé, Il padre l’assente inaccettabile, (Edizioni San Paolo, Milano, 2003) mi ha rivelato una dimensione del padre stra-ordinaria. Come scrive Risé: “togliere i nuovi individui dalla dimensione orizzontale, caratteristica della materia e della conservazione delle cose, e collocarli lungo l’asse verticale della ricerca di sé e dell’Altro, di ciò che è al di là e al di sopra delle cose di quaggiù.” Il gesto del padre che solleva il figlio verso il cielo e lo scioglie (definitivamente) dall’abbraccio materno: è un’immagine oltre che familiare anche forte. Il padre indica al figlio la via del cielo, la dimensione verticale dell’esistenza, la possibilità di un’esperienza che sta oltre i bisogni materiali esauditi dalla madre. Questa per il bambino è una ferita (il distacco dalla madre) ma anche una straordinaria possibilità: il dischiudersi di un mondo nuovo, più in alto.

Ecco: proviamo a immaginare nostro padre (ora, forse, vecchio e rompiballe) nell’atto di sollevarci da piccoli e puntarci verso il cielo. Questo gesto semplice e simbolico è trasmesso a noi, è dentro di noi. E se noi saremo fortunati, lo trasmetteremo (lo doneremo) ai nostri figli. Non dimentichiamocelo questo gesto del padre.
(Dedico questo post a quel padre palermitano ucciso a pugni da quattro uomini, davanti a moglie e figlia piccola. Per sbaglio aveva ammaccato l’auto di uno di loro.)





BerLosco Street
C’è una via che percorro ogni santo giorno per andare al lavoro. Ha un nome ufficiale questa via ma io l’ho rinominata BerLosco street. Perché sui muri invecchiati che costeggiano la strada compaiono scritte in dileggio di tale BerLosco (in un solo caso denominato Berluscone). Si tratta, credo, di un personaggio famoso. Un personaggio pubblico che occupa qualche carica istituzionale se non a livello nazionale certamente a livello locale. Io, purtroppo, seguo pochissimo la politica (macro e micro) e non so dare indicazioni precise sulla sua identità e sui suoi comportamenti. Dalle scritte, che riporto fedelmente e senza alcun intervento personale, emerge una leggera acrimònia nei suoi confronti: non so dire quanto motivata.

Dire male di BerLosco non è reato

BerLosco è tutto falso

Chi vota BerLosco lo prende in quel posto

BerLosco disgusta

Attenzione il Berluscone ti frega la pensione

Con BerLosco la legalità è un optional

Con BerLosco i disonesti sguazzano

Con Berlosco è venuto a galla il peggio della società

BerLosco la quintessenza della volgarità

BerLosco crea malessere

Illusi del BerLosco aprite gli occhi

BerLosco esci dal campo

Risolto il mistero della bandana: è stato circonciso

(Quest’ultima scritta non riporta il nome del dileggiato ma trovandosi nel medesimo contesto murale ho ritenuto dovesse riferirsi sempre al medesimo personaggio).





Al telefono
Brevemente ti interrogo
sulle giornate lontane
di Montevarchi.
Nel tempo che tarda la tua risposta
un’ ansia mai spenta mi brucia lo stomaco:
è altra vita che temo
non mia non tua
costruita in un vuoto d’abbracci
aperta al nuovo seme
d’amore.

Immagino i tuoi occhi scippati
dai cartoni animati,
ecco proprio ora
vorrei prenderti l’orecchio
staccartelo ma senza dolore
lievemente come petalo
tenerlo sempre con me
a portata di mano,
in tasca per esempio.

Quando voglio lo prendo
e ti dico quello che sento.
Solo cose che un padre dice
a un figlio
senza fare il prefisso.




Blog, Internet, l’Overdose e la Fuffa

E’ stato calcolato che nascono in media 15.000 weblogs al giorno: uno ogni 5,8 secondi (fonte: Technorati). Ma che ce ne facciamo di tutti questi milioni di blog? Come possiamo sopravvivere a questa crescita esponenziale? Con le pagine web la situazione non cambia. In un’intervista pubblicata su La Stampa di sabato 13.9.2004, Umberto Eco parlando di internet dice: “Si trova tutto quello che ci hanno messo dentro. Ho fatto una ricerca sul Graal: su una settantina di siti, 68 sono fuffa, uno sembra l’enciclopedia, un altro è davvero interessante. Ma io conosco la materia e scelgo. Chi sta cominciando ad appassionarsi distingue?”

Il giovane ricercatore Giuliano da Empoli nel bel libro Overdose La società dell’informazione eccessiva (Marsilio Editori,2002) mette in guardia dalle conseguenze nefaste dell’overdose cognitiva. I bambini sono i più esposti e sono colpiti dall’ Attention Deficit Disorder: la sindrome che provoca una forte diminuzione della capacità di concentrarsi (non solo a scuola). Ma anche gli adulti sono investiti dall’overdose informativa con forme più o meno gravi di dipendenza dai diversi media utilizzati: tv, internet, telefonia mobile, cinema, ecc. Che bisogno abbiamo di essere connessi 24 ore su 24, 7 giorni su 7? Che bisogno abbiamo di essere aggiornati continuamente? Tutti cercano la nostra attenzione e s’inventano ogni giorno nuovi sistemi per catturarla. E il nostro tempo/spazio, quello della nostra vita al di fuori dell’acquario dei media, si restringe sempre più.

Bisogna imparare a scegliere, a distinguere il fondamentale dalla fuffa, come dice Eco. Perché solo l’informazione utile e di valore può trasformarsi in conoscenza. Giuliano da Empoli suggerisce di ridurre gli imput e di recuperare la dimensione lineare (leggere un libro stampato su carta, per esempio). I più fortunati, quindi, non sono più coloro che accedono a maggiori quantità di informazioni (difficili da gestire) ma, al contrario, tutti coloro che hanno/avranno tempo, attenzione e tranquillità per selezionare senza essere sopraffatti. Un lusso per pochi? Se ci diamo da fare, no. Per vivere meglio, dobbiamo ricordarci di essere non troppo contemporanei. (Dobbiamo bloggare di meno?)

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